Patto di famiglia (regime fiscale e profili civilistici di rilievo)
Con una recente sentenza (n. 29506 del 24 dicembre 2020) la Corte di Cassazione ha fatto chiarezza sul regime impositivo del patto di famiglia ex art. 768 bis ss. c.c.. Nel caso di specie, parte attrice ha impugnato la sentenza pronunciata dalla CTR dell’Abruzzo, ritenendo principalmente che, tra gli altri motivi, la CTR non avesse correttamente considerato, ai fini fiscali, “la causa unitaria del patto o comunque il collegamento funzionale tra le attribuzioni ivi effettuate, che impongono un unico trattamento fiscale”. I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso, ritenendo che “Sul piano dell’imposizione […] al patto di famiglia si applica la disciplina fiscale prevista per la donazione modale” e che, pertanto ai fini fiscali, l’onere gravante sull’assegnatario (nel caso concreto l’onere gravante sul fratello legittimario assegnatario di liquidare la quota di spettanza della sorella legittimaria non assegnataria) debba essere “equiparato al legato e cioè ad un’attribuzione a titolo particolare del de cuius in favore del beneficiario”, con applicazione dell’imposta sulle donazioni.
In disparte i profili fiscali, la sentenza in commento risulta di interesse perché ripercorre i tratti civilistici che caratterizzano il patto di famiglia, come negozio tipico, focalizzandosi su due questioni tutt’altro che pacifiche: l’individuazione dei soggetti che “devono partecipare” alla stipula del patto di famiglia e la questione della struttura, necessariamente “orizzontale”, del contratto.
In merito ai soggetti partecipanti al patto di famiglia, la Corte di legittimità, nell’ambito della suddetta sentenza, richiama il contenuto dell’art. 768 quater c.c., secondo il quale “al contratto devono partecipare il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari, ove nel momento della stipula si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore”. Sulla scorta di tale richiamo al testo normativo, i giudici di legittimità, anche in linea con la dottrina prevalente, sembrano non lasciare spazio alla possibilità di stipulare il patto di famiglia in assenza di alcuni legittimari non assegnatari (ancorché conosciuti) del disponente (ferma la possibilità, invece, di stipulare il contratto in assenza dei legittimari non assegnatari non conosciuti che, ai sensi dell’art. 768 sexies, potranno chiedere ed ottenere la liquidazione della quota di spettanza all’apertura della successione dell’imprenditore).
Sorge tuttavia, secondo altra dottrina, l’esigenza di offrire un’interpretazione diversa, maggiormente consona alla ratio della normativa sul patto di famiglia, la quale mira ad impedire l’azione di riduzione e a disattivare l’obbligo di collazione attraverso l’art. 768 quater, co. 4, c.c.. Infatti, rimanendo sulla scia interpretativa della Corte di Cassazione, si consentirebbe fin troppo facilmente ai legittimari non assegnatari (conosciuti), che non vogliono partecipare al patto di famiglia, di impedirne gli effetti, nonché di contrastare l’esigenza di una successione certa nell’interesse dell’azienda. Per tali ragioni appare più corretto interpretare l’espressione “devono partecipare” nel senso di “devono essere messi nella condizione di partecipare” e dunque essere portati a conoscenza del contratto.
Riguardo al secondo aspetto, ossia la struttura che assume il patto di famiglia, i giudici di legittimità in diversi passaggi della sentenza (come, ad esempio, a pag. 10: “alla liberalità in favore del beneficiario si accompagna l’adempimento da parte di quest’ultimo dell’obbligo, previsto dalla legge, di effettuare il conguaglio in favore degli altri legittimari”) sembrano offrire un’interpretazione che, se letta a contrariis, esclude la possibilità di configurare, al fianco della struttura “orizzontale” espressamente prevista dal legislatore all’art. 768 quater, co. 2, c.c., una struttura “verticale” del patto di famiglia.
Tuttavia, anche in questo caso parte della dottrina ritiene che, nonostante l’imperatività della norma (“devono”), sia maggiormente corretta la diversa lettura, secondo la quale è possibile stipulare un patto di famiglia di struttura “verticale”, ossia un contratto nel quale è lo stesso disponente che procede alla liquidazione della quota di spettanza dei legittimari non assegnatari. Ciò in quanto appare difficile ritenere che il legislatore, nel perseguire il fine primario di evitare la disgregazione delle aziende di famiglia, abbia introdotto un contratto che (spesso, scontrandosi con la realtà materiale nella quale dovrebbe esplicarsi) non sia effettivamente praticabile nel caso concreto. Infatti, nella maggior parte dei casi, il legittimario assegnatario presenta una giovane età ed un patrimonio personale inconsistente alla liquidazione della quota di spettanza degli altri legittimari non assegnatari.