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Nuova pronuncia in tema di “abuso del processo”

Con una recente ordinanza (n. 15445 del 21 luglio 2020), la Suprema Corte si è pronunciata sulla fattispecie del c.d. “abuso del processo”.

Nel caso di specie, il ricorrente proponeva opposizione tardiva a un decreto ingiuntivo per poi, a fronte del rigetto dell’opposizione da parte del Tribunale, adire direttamente la Suprema Corte. Per tale ragione, quest’ultima rilevava, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso “perché la sentenza era, evidentemente, appellabile, trattandosi di decisione resa in primo grado e non ricorrendo in caso di immediata ricorribilità in Cassazione”.

Venendo più nello specifico al tema dell’abuso del processo, l’ordinanza in commento (richiamando anche precedenti recenti della Corte – v. infra) afferma come tale fattispecie sia riscontrabile laddove una delle parti adduca “ragioni di censura “de plano” valutabili, secondo l’ordinaria diligenza, come giuridicamente inconsistenti, e quindi pretestuose” (nel caso di specie, ad avvalorare tale ricostruzione, vi è anche l’inammissibilità del ricorso di cui sopra).

La Corte, chiarisce altresì che la condanna ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., “configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma e indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale”. Di conseguenza, la sua applicazione non richiede il riscontro dell’elemento soggettivo della colpa grave o del dolo.

Tra i precedenti richiamati nell’ordinanza in commento, particolare rilievo assume la pronuncia n. 29812 del 18 novembre 2019.

In tale pronuncia, la Corte – affrontando il tema della funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria prevista da tale norma – ha preso in considerazione sia la necessità di contenere il fenomeno dell’abuso del processo, sia l’evoluzione della fattispecie dei “danni punitivi”. Proprio con riferimento a tale ultimo riguardo, la pronuncia ha chiarito (richiamando a sua volta precedenti della Corte) che “alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicché non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto, di origine statunitense, dei “risarcimenti punitivi “. La Suprema Corte riconosce in tal modo all’art. 96 c.p.c., ultimo comma, anche una funzione di deterrenza.

In tale occasione, la Corte ha altresì precisato che può costituire abuso del diritto (all’impugnazione), rilevante ai sensi dell’art. 96 comma terzo c.p.c., “la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata, o completamente privo di autosufficienza (…)”, integrando tale ricorso “un ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale, essendo non già finalizzato alla tutela dei diritti ed alla risposta alle istanze di giustizia, ma risolvendosi soltanto, oggettivamente, ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione”.

Per completezza e facilità di lettura, di seguito si riporta il testo dell’art. 96 c.p.c.:

“1. Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza.

2. Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.

3. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

Cass. civ. ord. 15445-2020

Cass. civ. ord. n. 29812 18 novembre 2019