L’appostamento a bilancio degli apporti dei soci
Con una recente Ordinanza, la Corte di Cassazione (n. 29325 del 22 dicembre 2020), ha stabilito il principio di diritto secondo cui l’organo amministrativo non può arbitrariamente appostare in bilancio le dazioni di denaro eseguite dai soci in favore della società, né tantomeno mutare la relativa voce successivamente all’iscrizione originaria, dovendo quest’ultima necessariamente rispecchiare l’effettiva natura nonché la causa concreta delle dazioni stesse.
Nella summenzionata pronuncia, gli ermellini, dopo aver censito le varie fattispecie di apporti di capitale effettuati dai soci senza intervenire sul capitale, hanno tracciato le regole da seguire nella qualificazione, anche bilancistica, dei medesimi, stabilendo come sia necessario trascendere il mero dato formale relativo alla denominazione risultante dalle scritture contabili della società per indagare la preminente volontà negoziale delle parti.
In particolare la Corte ha rilevato come “Decisiva nella qualificazione della dazione è l’interpretazione della volontà delle parti, rimessa al prudente apprezzamento del giudice”.
Sotto tal profilo “L’indagine sul punto può tener conto di ogni elemento, quali le clausole statutarie che tali versamenti prevedano, il comportamento delle parti, i fini perseguiti, le scritture contabili, i bilanci e qualsiasi altra circostanza del caso concreto, capace di svelare la comune intenzione delle parti e gli interessi coinvolti” (In tal senso Cass. 8 giugno 2018, n. 15035, Cass. 23 marzo 2017 n. 7471, Cass. 9 dicembre 2015, n. 24861, Cass. 3 dicembre 2014, n. 25585).
Parimenti significativo risulta il cenno al principio di continuità del bilancio di cui all’art. 2423 bis, Comma I, n. 6 al quale la Corte si richiama al fine di confermare la decisione con cui la corte di merito aveva censurato l’illecito passaggio contabile della riserva a debito, arbitrariamente eseguito dal consiglio di amministrazione, senza che ricorressero nel caso di specie i “casi eccezionali” legittimanti possibili deroghe al principio de quo.
Sul punto i giudici di legittimità hanno ribadito come “non possono ad libitum mutare i criteri di redazione da un esercizio sociale all’altro, posto che deroghe al principio enunciato sono consentite solo in <<in casi eccezionali>>; mentre la nota integrativa deve, in ogni caso, esaurientemente motivare la deroga e indicarne l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico, come dispone l’art. 2423 bis, 2⁰ comma, c.c….”.