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Covid-19 e locazione di immobili ad uso commerciale

Con due recenti ordinanze, il Tribunale di Venezia ed il Tribunale di Roma si sono pronunciati in materia di Covid-19 e locazione di immobili ad uso commerciale.

 Di seguito un commento alle due ordinanze.

Il Tribunale di Venezia, con ordinanza 28 luglio 2020, ha respinto l’istanza di rilascio introdotta dal locatore in ragione della morosità accumulata dal conduttore nel periodo c.d. di lockdown.

In primo luogo il Giudice (confermando una linea interpretativa che pare, oramai, ricorrente) osserva che la chiusura dell’attività da marzo a maggio 2020 non integra ipotesi di impossibilità assoluta di godimento dell’immobile ma, piuttosto, di “impossibilità soltanto parziale, dal momento che l’unità immobiliare è rimasta pur sempre nella disponibilità del conduttore ed è stata utilizzata quantomeno con funzione di ricovero delle attrezzature e delle materie prime relative all’attività di ristorazione”. Tale impossibilità parziale, pertanto, “giustifica nei contratti a prestazioni corrispettive o la riduzione della controprestazione o il recesso”, quando la causa non è imputabile al conduttore.

Tuttavia, nel caso di specie, il Tribunale rileva che la morosità “più che ad una reale volontà di non adempiere, sia dovuta all’effettiva contingenza derivante dall’emergenza sanitaria”, confermando quindi che “sussistono gravi motivi ostativi all’emissione dell’ordinanza di rilascio, anche in ragione della necessità di preservare la continuità dell’attività aziendale, che sino all’inizio dell’emergenza sanitaria era ben avviata, e i posti di lavoro”.

Conclude il Giudice, confermando di ritenere necessario che nel giudizio di merito venga rideterminato l’importo del canone per il periodo da marzo a maggio.

Quanto alla pronuncia del Tribunale di Roma, con ordinanza 27 agosto 2020  è stata disposta la riduzione del canone di locazione del 40% per i mesi di aprile e maggio 2020, e del 20% da giugno 2020 a marzo 2021, nonché la sospensione della garanzia fideiussoria.

Con ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c., il conduttore (società che opera nel settore della ristorazione), ha agito nei confronti del proprietario dei locali lamentando che quest’ultimo non avesse ottemperato all’obbligo, derivante dalla clausola generale di buona fede e correttezza, di rinegoziare le condizioni economiche del contratto di locazione in ragione dell’insorgere della pandemia da Covid-19.

Il Tribunale, nell’accogliere la domanda cautelare, ha affermato che:

  • quanto alla clausola generale di buona fede, questa “può essere utilizzata con funzione integrativa cogente nei casi in cui si verifichino dei fattori sopravvenuti ed imprevedibili non presi in considerazione dalle parti al momento della stipulazione del rapporto, che spingono lo squilibrio oltre l’alea normale del contratto”; si rende possibile, in tal modo, “la tutela di fattispecie non contemplate dal legislatore“;
  • quanto alla rinegoziazione delle condizioni contrattuali divenute squilibrate nell’ambito dei contratti commerciali a lungo termine, si tratta di uno strumento utile per le Parti, posto che, invece, l’istituto della risoluzione (per eccessiva onerosità sopravvenuta) potrebbe in alcuni casi non essere rispondente all’interesse della parte che subisce l’aggravamento della propria posizione contrattuale.

In merito, il Tribunale – nel precisare che l’eventuale risoluzione del contratto per eccessiva sopravvenuta onerosità “comporterebbe inevitabilmente la perdita dell’avviamento per l’impresa colpita dall’eccessiva onerosità e la conseguente cessazione dell’attività economica” – afferma come “la crisi economica dipesa dalla pandemia Covid” deve qualificarsi quale “sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale” tale da determinare in capo a “la parte che riceverebbe uno svantaggio nel protrarsi della esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente (…) la possibilità di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto”.

In conclusione una nota di “colore”. Il Tribunale di Roma, non lesina infatti una valutazione generale sulle misure adottate dal legislatore nel periodo emergenziale, affermando che “nonostante lo sforzo fatto dal legislatore“, le misure adottate “non sembrano tuttavia essere sufficienti, almeno nel caso di specie, a riportare in equilibrio il contratto entro la sua normale alea”. Pertanto, anche in presenza dell’intervento del legislatore, il Tribunale ritiene doveroso il “ricorso alla clausola di buona fede e di solidarietà sancito dall’art. 2 della Carta costituzionale (…)”.